27 maggio 2024
“L’America innova, la Cina replica, l’Europa regolamenta” è un aforisma in voga negli ultimi tempi negli Stati Uniti per sintetizzare, in maniera un po’ ruvida ma non lontana dalla realtà, i diversi approcci che le tre potenze mondiali hanno su molti temi che hanno a che fare con l’innovazione e con lo sviluppo economico.
Anche in vista delle prossime decisive elezioni, il tema della produttività, della qualità della legislazione e delle sue implicazioni sulle capacità competitive del sistema economico e produttivo europeo (“Better Regulation”), è divenuto di attualità nel dibattito pubblico anche nel nostro continente e con esse la consapevolezza della necessità di un radicale cambio di passo per rispondere alle sfide globali.
Tra le numerose questioni aperte, intendiamo qui soffermarci sul tema del deficit della dimensione delle imprese europee rispetto ai concorrenti globali, in particolare quelli statunitensi, cinesi e indiani.
Un fattore che penalizza l’Europa in termini di innovazione, produttività, capitalizzazione e occupazione. La regolamentazione del mercato europeo in materia antitrust ha avuto e continua ad avere un ruolo rilevante in materia.
L’Antitrust ha infatti da sempre ragionato in termini di mercato rilevante in chiave nazionale/europea e mai in una prospettiva globale, limitando o impedendo operazioni di concentrazione tra imprese finalizzate a creare quei “campioni europei” in grado di competere con i grandi player globali nei diversi settori merceologici.
Ricordiamo, come casi emblematici, le vicissitudini legate all’accordo sottoscritto nel 2018 da Fincantieri per l’acquisizione del 50% delle azioni di Chantiers de l’Atlantique o a quelle relative al progetto di fusione tra Alstom e Siemens nel settore ferroviario nel 2019 e il ruolo avuto dall’Antitrust UE nel fallimento di quelle operazioni.
Ma l’ultimo esempio in ordine di tempo e a noi più vicino è rappresentato dal caso Ita – Lufthansa.
Nonostante l’impegno del Governo italiano e di Lufthansa, le rinunce a 11 coppie di slot a Milano Linate e il rinvio dell’adesione alla joint venture transatlantica tra la stessa Lufthansa, United Airlines e Air Canada, la Commissione europea e l’Antitrust, con argomentazioni tecniche peraltro assai discutibili, dopo mesi di approfondimenti mostrano insoddisfazione e chiedono ulteriori sacrifici.
Non è un mistero l’ovvio interesse di operatori di altri Paesi europei affinché l’operazione Ita – Lufthansa non vada in porto. Tuttavia, anche solo l’ipotesi di un utilizzo delle norme antitrust per finalità altre, di mera competizione interna e di sabotaggio, non può che essere una aggravante dell’inefficacia o meglio della pericolosità dell’eccesso di regolamentazione di cui ci siamo dotati in Europa.
E vale la pena ricordare che nei primi anni 2000 fu l’Antitrust italiano a bloccare ogni ipotesi di accordo tra l’allora Alitalia e Meridiana. Nessuno oggi è in grado di sapere come sarebbero andate le cose se le decisioni, al tempo, fossero state diverse. E’ tuttavia certo che nessuna compagnia aerea italiana fu più in grado di raggiungere la dimensione necessaria a competere con le altre compagnie aeree europee e a distanza di due decenni non possiamo non constatare che il trasporto aereo nazionale è stato di fatto consegnato a vettori non italiani che hanno acquisito, loro sì, posizioni dominanti su numerose direttrici sia domestiche che internazionali.
In molte parti del mondo – vedi ad esempio la Cina e più vicino a noi la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti (non a caso tutti Paesi le cui ambizioni geopolitiche sono ben note) – sono gli stessi governi a investire risorse ingentissime nelle loro compagnie aeree e nei loro aeroporti per raggiungere il più velocemente possibile quella dimensione necessaria a primeggiare a livello mondiale e a far diventare il proprio paese e i propri scali il perno su cui far ruotare la massima parte possibile dei traffici aerei internazionali/intercontinentali.
L’Europa, nel trasporto aereo come in numerosi altri settori industriali, sembra voler rinunciare a giocare la partita globale e a porre le sue imprese nelle migliori condizioni per diventare leader mondiali, troppo concentrata sulla dimensione interna e a regolamentare ogni cosa, senza tener conto di tutto ciò che le accade attorno.
Come emerso negli incontri che Confindustria ha organizzato per la presentazione del documento “Fabbrica Europa” in vista delle prossime elezioni europee, abbiamo una macchina in grado di correre, ma dobbiamo liberarla da burocrazia e da impedimenti.
Ci auguriamo che, con l’occasione del rinnovo democratico nelle istituzioni comunitarie, queste preoccupazioni siano condivise da coloro che avranno responsabilità nella prossima legislatura europea.