1 luglio 2024
La questione della transizione ecologica, nel contesto generale dell’adattamento ai cambiamenti climatici, rappresenta una sfida epocale alla quale nessun ambito della società e dell’economia può sottrarsi.
Il settore dei trasporti, in particolare, è responsabile di circa un quarto delle emissioni totali a livello europeo e anche per questo il suo contributo alla transizione ecologica è già da anni al centro del dibattito pubblico e della copiosa attività legislativa, innanzitutto comunitaria.
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dal pacchetto “Fit for 55” è tuttavia necessaria una significativa diversificazione delle fonti di energia usate per la trazione nella mobilità, privata e pubblica, delle merci e delle persone.
Non esiste, infatti, una soluzione unica e valida per tutte le modalità di trasporto ed è necessario considerare specificità ed esigenze nei vari ambiti di impiego.
Nel caso del trasporto pubblico urbano e metropolitano, ad esempio, l’elettrificazione dei veicoli può essere una soluzione efficiente e sostenibile. Si è infatti in presenza di percorsi prestabiliti per origini e destinazioni, con corse regolari, con il gestore del servizio che ha affidamenti strutturati utili a pianificare anche la dotazione delle necessarie infrastrutture di ricarica.
Nel caso delle lunghe percorrenze su strada sia di persone che di merci, invece, l’elettrificazione presenta attualmente dei limiti legati alla capacità delle batterie, alla insufficiente dotazione di infrastrutture di ricarica su scale territoriali ampie, oltre al maggior costo e alla minore disponibilità degli stessi veicoli. Non parliamo poi dei trasporti aerei o navali, dove l’elettrificazione è allo stato improponibile.
Nonostante gli evidenti limiti oggettivi, le iniziative comunitarie dell’ultima legislatura hanno invece seguito un approccio fortemente ideologico, imponendo la sola modalità elettrica (BEV – battery electric vehicle), senza basarsi su dati misurabili per la valutazione dell’abbattimento delle emissioni complessivamente generate.
È stato banalizzato il problema considerando il tank to wheel, cioè valutando le emissioni della sola marcia, invece del well to wheel, ovvero il complesso delle emissioni dell’intero ciclo di vita dell’energia di trazione, dall’estrazione o generazione delle fonti energetiche al loro uso finale.
Lo stesso principio della “neutralità tecnologica” è stato di fatto sconfessato nei provvedimenti normativi adottati.
Ma l’aspetto probabilmente più grottesco è rappresentato dall’esclusione del settore del trasporto aereo da ogni misura riguardante il Next Generation EU, anche per i relativi fondi del PNRR italiano, dove è stato bandito il termine “aereo”, come per criminalizzare un intero essenziale settore.
Questo approccio ideologico sta generando gravissimi problemi alla nostra area economica e rischia seriamente di distruggere la capacità innovativa e manifatturiera europea, con effetti deleteri sul piano sociale, senza tuttavia procurare effettivi vantaggi per la sostenibilità ambientale delle attività.
L’elettrificazione quale unica via per la lotta ai cambiamenti climatici richiede, come noto, quantità di energia elettrica da fonti rinnovabili attualmente indisponibili e materie prime critiche che sono sotto il controllo di paesi illiberali e non democratici.
Di fronte a queste criticità, altri paesi hanno scelto vie diverse. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno lanciato un piano strategico per raggiungere l’autosufficienza per tutti i fattori chiave della transizione ecologica: per le batterie, l’elettronica, i semiconduttori, i pannelli solari e le reti elettriche intelligenti. Gli USA intendono così rafforzare la loro sicurezza energetica, proteggere il loro mercato interno dalla concorrenza più o meno sleale, creare occasioni di lavoro per mantenere occupazione e stabilità sociale.
La Cina, dal canto suo, ha una posizione dominante nella produzione di veicoli elettrici, oltre alla leadership tecnologica, grazie a una pregressa politica di sovvenzioni e investimenti statali.
Con la sua sovracapacità produttiva oggi è pronta a esportare in dumping i suoi prodotti in Europa ed è potenzialmente in grado di mettere in ginocchio l’intera industria europea, storicamente leader mondiale nel settore, con ovvie conseguenze in termini di perdita di occupazione, know-how e aumento degli oneri per gli Stati.
I dazi europei, già di molto inferiori a quelli USA, sono un’arma spuntata che espone il nostro sistema a effetti ritorsivi nella guerra economica in corso.
L’Europa ha quindi bisogno di una visione alternativa, che non si basi esclusivamente su un solo vettore energetico, ma che valorizzi tutte le tecnologie disponibili per ridurre le emissioni.
Fra queste le più efficaci disponibili sono dei biocarburanti, quasi carbon neutral well 2 wheel (ri-emettono la CO2 assorbita per la crescita dei vegetali), che hanno il vantaggio di poter essere utilizzati nei mezzi già circolanti.
La crescente richiesta di biomasse vegetali che ne deriverebbe potrebbe peraltro diventare un incentivo all’uso di molti territori oggi abbandonati dalle colture, con ulteriori benefici per la cura e la tutela del territorio.
Ma fra le opzioni alternative bisogna considerarne una in prospettiva assai promettente, sebbene oggi ancora in fase di ricerca e di trasferimento tecnologico, vale a dire i carburanti sintetici: e-fuel e solar-fuel.
Sono tipologie di carburante sintetizzati, in forma liquida o gassosa, dalla combinazione del carbonio presente in atmosfera con l’idrogeno verde – gli e-fuel – oppure direttamente dall’energia solare – i solar-fuel – dove non c’e’ bisogno di idrogeno per formare il combustibile, che viene invece creato da reazioni chimico/fisiche/biologiche con la CO2 usando direttamente l’energia del sole: una fotosintesi artificiale, quindi, in questo caso.
Il vantaggio dei carburanti sintetici risiede nella possibilità di consumare dall’atmosfera la CO2 – che è materia prima per gli x-fuel – e non solo nella riduzione delle emissioni. Investire sullo sviluppo dei carburanti sintetici sarebbe una soluzione anche per il problema della CCS (Carbon Capture and Storage) nei settori hard to abate – evitando o perlomeno limitando i problemi legati allo stoccaggio della stessa CO2.
Biocarburanti e, si spera in un prossimo futuro, gli x-fuel, godono peraltro dell’indubbio vantaggio di poter essere subito utilizzabili nel parco veicolare circolante, con le infrastrutture di distribuzione esistenti e in tutte le modalità (nel trasporto aereo, nel trasporto marittimo, nei mezzi stradali pesanti) con la sola necessità di accelerare i fisiologici investimenti per il rinnovo delle flotte con motorizzazioni più “pulite”.
Per il bene dell’Europa, possiamo chiedere di investire convintamente nel trasferimento tecnologico per lo sviluppo e la produzione di questi carburanti?
Possiamo evitare di perdere il nostro primato industriale nel settore dei motori endotermici?
Possiamo salvaguardare la competitività e l’occupazione nell’economia europea, mantenendo l’impegno di ridurre le emissioni in modo realistico?
Vogliamo proporre un nuovo modo di guidare la transizione climatica, senza condannarci all’irrilevanza economica e politica?
Per chi avesse voglia di riflettere e discutere su tali quesiti, Federtrasporto è ovviamente disponibile a studiare soluzioni da prospettare a policy makers, imprese, Università, Centri Ricerca e Trasferimento Tecnologico, fondi di Venture Capital e a chiunque abbia a cuore il futuro del pianeta e della nostra società.