Intervista a cura di Giorgio Napoli (Espansione)
Alberto Brandani professore-manager, un’ininterrotta passione per la cultura e i libri, vent’anni ai vertici di MPS e poi nei cda di Anas e Ferrovie dello Stato, è oggi Presidente di Federtrasporto Confindustria.
Professor Brandani, qual è il mezzo di trasporto che preferisce?
Viaggio moltissimo ogni settimana tra Roma e la provincia di Siena, con frequenti “deviazioni” anche in altre città italiane. L’autonomia e l’indipendenza che consente l’auto privata è impagabile per questo. Sono al tempo stesso un affezionato cliente del Frecciarossa, l’alta velocità mi permette di andare e tornare in giornata anche tra Milano e Roma. Nel weekend, però, mi piace il viaggio slow (ad esempio gli itinerari storici che propone la Fondazione FS sono molto interessanti).
Salga in cattedra e dia le pagelle a strade, treni e aerei.
Guardando il quadro d’insieme mi sento di poter dire che il trasporto ferroviario ha letteralmente rivoluzionato la mobilità degli italiani, l’alta velocità è di fatto diventata una infrastruttura di irrinunciabile utilità per tutti noi. Non a caso è chiamata la metropolitana d’Italia che ha cambiato il modo di vivere e di lavorare.
Il trasporto stradale non conosciuto rivoluzioni negli ultimi anni ma continua ad essere la modalità di gran lunga più utilizzata sia per il trasporto di persone che di merci. Il trasporto aereo è cresciuto notevolmente negli anni sia in termini di passeggeri trasportati che di opzioni di scelta e qualità dei servizi.
Date le condizioni di contesto e la conformazione fisica dell’Italia, tutt’altro che facili per ciascuna delle modalità di trasporto, mi sento di promuovere ampiamente il trasporto intermodale, integrato e sostenibile.
Se avesse la bacchetta magica che farebbe per migliorare il sistema dei trasporti?
Rilanciare gli investimenti in infrastrutture e fare manutenzione, dare il via ai lavori delittuosamente fermi e partecipare attivamente ad un grande piano europeo di investimenti infrastrutturali da 1.000 miliardi da cui deriverebbero grandi benefici per l’Italia.
Il problema vero del nostro Paese non sono tanto le risorse economiche, considerata la possibilità di ricorrere alla tecnica del Project Financing per realizzare quelle opere pubbliche suscettibili di produrre reddito (quali ad esempio autostrade, metropolitane e termovalorizzatori), quanto soprattutto l’incapacità di trasformare quelle risorse in cantieri evitando di mettere in discussione anche le opere già finanziate ed in corso di realizzazione. Per questo, nelle more di una riforma più ampia, dovrebbero essere recuperati strumenti come quello del Commissario straordinario, analogamente a quanto ha fatto il Governo per la ricostruzione del ponte di Genova. Andrebbe anche rivisto il codice degli appalti depennando quelle norme di recente introdotte che, pur con le migliori intenzioni, hanno di fatto complicato le procedure.
Secondo lei, le autostrade italiane sono sicure?
Le autostrade a pedaggio italiane, esclusa la parte in gestione ANAS, costituiscono il 2% circa della rete stradale nazionale ma oltre il 25% del traffico. Sono infrastrutture risalenti per lo più agli anni ’50, in continuo ammodernamento e caratterizzate da un numero di opere s’arte molto superiore a quello di altri Paesi europei, la cui manutenzione richiede ingenti mezzi e risorse. Nonostante siano applicate tariffe tra le più contenute d’Europa, abbiamo una rete autostradale di buona qualità. Ricordo come siamo stati i primi in Europa a dimezzare il numero dei decessi autostradali nel periodo 2001-2010, decremento proseguito nel tempo (-62% al 2017) e che tuttora persiste.
Non mi sottraggo certamente dall’esprimere amarezza per la tragedia del ponte Morandi e per le eventuali inadeguatezze che potessero emergere: essa è al vaglio della magistratura che, ne siamo certi, riuscirà a dividere il loglio dal grano.
Concludendo, direi che il confronto internazionale ci vede sicuramente ai primi posti e un voto alla rete non può che essere positivo.
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